Nettuno ospita uno dei reduci di El Alamein. Onore al merito.

’assolata pianura del deserto egiziano, in prossimità di una località chiamata El Alamein, è attraversata da una stretta strada che sembra non portare da nessuna parte fintanto che non si incontra una piccola stele bianca dove è impressa la frase: “mancò la fortuna non il valore”. Allora, si capisce che quella è la strada che porta al Sacrario eretto in memoria degli oltre 4.000 soldati italiani ivi caduti, nell’ottobre del 1942, durante una furiosa battaglia dove trovarono sì la morte ma dove soprattutto si coprirono di gloria: quei soldati erano “i ragazzi della Folgore”.


Il 4° battaglione paracadutisti, composto da 5400 uomini al comando del Maggiore Alberto Bechi Luserna, medaglia d’oro al valor militare, aveva lasciato l’Italia nel luglio dello stesso anno inizialmente, per essere impiegato si pensava nella presa di Malta poi, in quella di Tobruk alla fine, si trovò dispiegato a baluardo della cosiddetta “terra di nessuno” per l’appunto nel deserto egiziano, interposto così tra l’esercito inglese e le retrovie italiane. I soldati di Sua Maestà, su di una linea di soli 13 km., avevano schierato contro di loro una potenza di fuoco impressionante composta da: la 7° divisione corazzata “Royal Tanks” con oltre 400 carri armati, la 44° divisione “Yorkshir” con circa 300 pezzi di artiglieria, la 50° divisione “topi del deserto”, la divisione “Francia libera” integrata da due reggimenti della Legione Straniera, la divisione d’assalto “Grecia libera”, un battaglione di truppe neo-zelandesi ed uno di militari australiani. Una forza d’urto composta da circa 65.000 uomini, ovvero quasi un quarto dell’intera VIII Armata Britannica presente in Africa al comando del Maresciallo Montgomery alla quale, come se ciò non bastasse, dovevano aggiungersi le forze aree della RAF.
Dopo poco più di tre mesi di aspri combattimenti, durante i quali gli attacchi delle forze inglesi vennero puntualmente respinti, “i ragazzi della Folgore” sopravissuti, ormai privi di rifornimenti, munizioni e viveri, tentarono ancora un disperato ripiegamento prima di venire fatti infine prigionieri. Condotti al “campo 309” ad attenderli però, oltre ai soldati addetti alla loro sorveglianza, trovarono schierata una rappresentanza delle truppe britanniche che rese loro “l’onore delle armi”. Nell’occasione, l’allora Primo Ministro inglese Winston Churchill ebbe a dire di loro: “dobbiamo inchinarci davanti ai leoni della Folgore”. Dopo quattro anni di prigionia, i circa 1.400 superstiti fecero ritorno alle loro case.
Uno di questi reduci, dal 1949, risiede a Nettuno, dove noi l’abbiamo incontrato. Quello che subito colpisce di Santo Pelliccia, classe 1923, nativo di Casalnuovo di Napoli, malgrado l’età avanzata, è il suo sguardo fiero, profondo e penetrante, il suo fisico ancora asciutto e scattante, perfettamente abbronzato, e la sua mente lucida e presente che tutto perfettamente ricorda. Arruolatosi come volontario a poco più di 17 anni nell’Esercito, prescelto poi per la Regia Scuola di Paracadutismo di Tarquinia, in tutti questi anni dalla fine della guerra, racconta Pelliccia, ha partecipato solo alle manifestazioni ufficiali indette dalla Folgore a Pisa, Livorno e Siena; tutte le altre ha preferito disertarle perché, a suo dire, troppo politicizzate. Lui, ricorda il reduce, come tutti i suoi commilitoni, erano soldati con le “stellette” e non con i “fasci di combattimento” sul bavero e come tali tenuti ad obbedire agli ordini malgrado questo, prosegue Pelliccia, dalla storia sono stati sempre trattati come se fossero appartenuti ai secondi e per questo ignorati, non lo dice tanto per loro che sono tornati ma per tutti gli altri che ad El Alamein hanno perso la vita come quelli dell'11a compagnia - continua, lasciando trasparire non poca emozione -, completamente annientata senza tuttavia aver receduto di un passo.
A spiazzare gli inglesi, precisa Pelliccia, fu il loro modo di combattere basato sulla divisione e sulla sorpresa infatti, mentre i primi erano convinti di dover far fronte ad una guerra di trincea, i paracadutisti, giacevano sparsi nel terreno nascosti nelle buche scavate dagli stessi nella sabbia, dove attendevano pazientemente il passaggio del nemico per poi attaccarlo di sorpresa alle spalle. Una tattica nuova quindi alla quale i britannici non erano abituati e che sino alla fine di tutte le scorte dette i suoi frutti, gli inglesi infatti, fino ad allora, non riuscirono mai a sfondare la linea dei “ragazzi della Folgore”.
Dopo essere tornato in patria, Pelliccia, croce di guerra, è entrato in Polizia dove ha prestato servizio sino al 1983. Ora, vedovo e nonno di un nipote di oltre 30 anni, ha solo due crucci: quello che il Ministero della Difesa, malgrado le numerose richieste inoltrate, gli riconosca finalmente il grado di Maresciallo che gli compete e quello di poter riavere la Medaglia d’Argento al Merito di Servizio ottenuta in Polizia che gli è stata rubata. Due gocce nel mare per un uomo del suo valore; speriamo che qualcuno, “tra le alte sfere”, venga informato di questo e voglia finalmente occuparsene.

                                      


A cura di: Tito Peccia - 16/09/2007
10 Marzo 2008 / v05

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